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Aprilia: sciolto per mafia il Comune, i clan comandavano la politica obbediva

L’Editoriale

Lo scioglimento per mafia del Comune di Aprilia non è una notizia: è una sentenza su una lunga complicità. È il sigillo su un sistema marcio, che affonda le radici nella politica locale e cresce nel silenzio delle istituzioni. È la conferma che la mafia, ad Aprilia, non ha bisogno di kalashnikov: le basta un ufficio comunale, una firma su una delibera, una stretta di mano in cambio di voti.

Il Consiglio dei Ministri ha preso atto di una realtà che Etruria News aveva denunciato già nel 2018, quando scriveva nero su bianco che “Aprilia è in mano alla mafia”, indicando nomi, fatti, e dinamiche. Nessuno allora volle ascoltare. Il prezzo oggi lo pagano i cittadini, espropriati del loro diritto più sacro: essere amministrati da uomini liberi, non da marionette manovrate da clan.

L’operazione “Assedio”

La Direzione Distrettuale Antimafia ha scoperchiato il vaso di Pandora con l’operazione “Assedio”: 25 arresti, tra cui l’ex sindaco Lanfranco Principi, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio politico-mafioso. Un’accusa che pesa come un macigno: il patto tra politica e mafia non è più ipotesi, è cronaca giudiziaria. Il clan Forniti avrebbe garantito voti e sostegno elettorale in cambio di appalti, favori e silenzi. La politica rispondeva con la benevolenza: concessioni, assunzioni, mancate denunce. Un teatro di potere in cui tutti recitavano una parte, tranne i cittadini, lasciati fuori dal copione.

Aprilia era già commissariata. Ma il commissariamento, si è visto, non basta a recidere le radici del malaffare se la rete d’interessi rimane intatta. In questi anni il potere ha continuato a muoversi nell’ombra, protetto da connivenze, omertà e una finta normalità. Intanto, le mafie gestivano estorsioni, usura, traffico di droga e rifiuti – come ha riportato ancora Etruria News in un’inchiesta di febbraio 2025. Un’economia parallela che si fondeva con quella “legale” attraverso imprenditori compiacenti, funzionari infedeli, politici collusi.

Quello che è successo ad Aprilia è la fotografia perfetta del nuovo volto delle mafie: meno sangue, più potere. Meno minacce, più controllo del consenso. È la mafia che non fa paura con la lupara, ma con una tessera elettorale. È il dominio invisibile, silenzioso, travestito da democrazia.

Il caso di Aprilia non è isolato

Il caso di Aprilia non è isolato: Anzio, Nettuno, altre città laziali sono state già sciolte o sfiorate da inchieste analoghe. Il Lazio si conferma terra di conquista per le mafie che cercano nella politica un alleato, non un ostacolo. E il sistema dei partiti – nessuno escluso – ha troppo spesso voltato lo sguardo altrove, minimizzato, o peggio ancora, taciuto. Oggi tutti si dichiarano sorpresi, indignati, distanti. Ma dove erano quando si denunciavano appalti pilotati, pressioni sui dipendenti comunali, legami opachi con imprenditori sotto indagine?

La verità è che la mafia, ad Aprilia, ha trovato un terreno fertile perché il potere locale ha scelto di aprirle la porta. Non solo per ignoranza o paura, ma per calcolo. Perché c’è chi, pur di restare aggrappato a una poltrona, è disposto a svendere la legalità. Ad Aprilia serve giustizia, non solo commissari. Serve una rinascita culturale, politica e civile. Perché una città non è libera quando cade un sindaco: è libera quando a governarla tornano la trasparenza, l’onestà e il coraggio.

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