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Fuoco e potere: dietro le quinte dell’inceneritore di Santa Palomba

L’Editoriale di Dalla Platea

C’era una volta il dibattito pubblico, poi arrivò l’inceneritore di Santa Palomba. La notizia è di ieri, la Regione Lazio che ritira l’emendamento che conferiva poteri straordinari al sindaco Gualtieri in materia ambientale è molto più di un semplice atto legislativo. È un segnale politico potente. Un sussulto, forse tardivo, di dignità istituzionale in una vicenda che puzza, letteralmente e metaforicamente, di bruciato.

La vicenda dell’inceneritore romano è il perfetto esempio di come le scelte ambientali più impattanti degli ultimi decenni siano state sottratte al confronto democratico. Santa Palomba è diventata il simbolo di una governance calata dall’alto, dove le comunità locali sono spettatrici mute di decisioni prese nelle stanze del potere romano.

L’emendamento contestato, approvato nel 2022 con una velocità sospetta, conferiva al sindaco di Roma poteri speciali in ambito ambientale, bypassando procedure ordinarie, pareri tecnici e, soprattutto, il diritto dei territori a decidere del proprio destino. Una scorciatoia normativa giustificata con l’urgenza del Giubileo 2025 e la retorica del “non c’è alternativa”. Ma dietro la patina dell’emergenza si cela una visione centralista e industrialista della gestione dei rifiuti, dove l’incenerimento torna ad essere la soluzione magica, nonostante decenni di studi e direttive europee che spingono verso il riciclo e l’economia circolare.

Santa Palomba non è solo un luogo. È un laboratorio di potere. È lì che si misura la capacità (o l’incapacità) di coniugare sostenibilità ambientale, trasparenza e partecipazione. È lì che si gioca una partita delicatissima: quella tra il diritto dei cittadini a un futuro pulito e il desiderio delle élite politiche di lasciare un’opera “simbolo” da inaugurare con taglio di nastro.

La Regione Lazio e Santa Palomba

Il dietrofront della Regione Lazio è un atto di giustizia istituzionale. Un ritorno alla legalità procedurale che rimette al centro il principio per cui le scelte ambientali devono essere partecipate, ponderate, condivise. Ma attenzione: il ritiro dell’emendamento non cancella l’inceneritore. Resta in piedi il progetto, resta intatta l’arroganza con cui è stato imposto, resta il nodo politico irrisolto di un’amministrazione comunale che rifiuta ogni forma di ascolto e confronto.

In tutto questo, i cittadini restano ostaggi. Ostaggi di una narrazione emergenziale, ostaggi di una filiera istituzionale che ha smarrito il senso del bene comune. E mentre a Santa Palomba si progettano ciminiere, nel Lazio ci sono imprenditori “sani” che investono in impianti di trattamento, riduzione e riuso dei rifiuti sempre più ad impatto ambientale zero. Il futuro, quello vero, brilla altrove.

Roma rischia di diventare l’ultima città d’Europa a bruciare i rifiuti invece di valorizzarli. Ma forse, con il passo indietro della Regione, si riapre uno spiraglio. La speranza è che quel fuoco che doveva incenerire tutto – rifiuti, ambiente, democrazia – si spenga prima di essere acceso.

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