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Ipofosfatasia, pediatra Pitea: “Con asfotase alfa si riforma tessuto osseo”

(Adnkronos) – Con a
sfotase alfa "si va a curare l'alterazione ossea determinata dall'assenza della fosfatasi alcalina. Un bambino che" soffre di una malattia rara come l'ipofosfatasia, "non riesce a camminare o che si muove con appoggio anche dopo i 18 mesi di vita può cominciare spontaneamente a camminare. Ma la parte più eclatante si ha a livello radiografico: un osso gravemente disorganizzato, con una cartilagine di accrescimento e con dei segni compatibili con un importante rachitismo, migliora nettamente sia nella mineralizzazione ossea che nella formazione di nuovo tessuto osseo. Quindi è un osso più sano, più saldo, che permette di avere un movimento e un appoggio del muscolo della articolazione migliore rispetto al passato". Così Marco Pitea, Dipartimento di Pediatria Irccs ospedale San Raffaele di Milano, intervenendo nel capoluogo lombardo alla conferenza stampa 'Svolta nella cura dell'ipofosfatasia: approvata la rimborsabilità in Italia di asfotase alfa, la prima terapia per il trattamento di bambini e adulti', organizzata da Alexion, AstraZeneca Rare Disease. 
In età pediatrica
la malattia "si può presentare in varie modalità – spiega il pediatra – Ci sono delle forme estremamente gravi che si possono manifestare addirittura in utero con delle fratture spontanee costali, delle deformità o delle fratture delle ossa lunghe. Ci sono delle forme neonatali che si possono manifestare con una ipoplasia polmonare e non sufficienza respiratoria grave che può anche determinare il decesso del paziente. Inoltre, per il meccanismo di azione della fosfatasi alcalina, che è importante anche nella adeguata formazione del sistema nervoso centrale, si può manifestare anche con delle convulsioni". 
In età pediatrica i sintomi per riconoscere l'ipofosfatasia sono innanzitutto "le deformità ossee, il ritardo delle tappe di sviluppo, anomalie scheletriche importanti – sottolinea Pitea – ma anche una aumentata probabilità di avere una saldatura precoce delle strutture craniche, cioè una craniostenosi, che può essere anche recidivante e una perdita precoce dei denti decidui, prima dei cinque anni di età". Nel paziente adolescente i sintomi sono più subdoli e comprendono "dolore cronico, difficoltà nella deambulazione, nelle performance sportive anche banali e una necessità diurna e notturna di dover assumere degli antidolorifici come paracetamolo e ibuprofene – chiarisce – In molti bambini anche queste caratteristiche ci devono fare sospettare e pensare a questa condizione", cioè all'ipofosfatasia, "facendo un dosaggio banalissimo della fosfatasi alcalina". 
Il ritardo diagnostico determina l'impossibilità di accedere "a una terapia efficace e sicura – evidenzia Pitea – Purtroppo non solo c'è un ritardo diagnostico, ma c'è una 'non diagnosi' perché spesso questa condizione non è conosciuta. Spesso i bambini che poi arrivano alla diagnosi sono già passati da diversi specialisti. Nel momento in cui viene posta diagnosi c'è subito la possibilità di curare con un farmaco ufficialmente approvato. La somministrazione è sottocutanea. Si può scegliere un trattamento con un dosaggio basso 6 giorni a settimana, ma nei bambini piccoli preferiamo dare un dosaggio leggermente più alto 3 volte a settimana per evitare l'appartamento quotidiano con la puntura. Al contempo è una terapia molto tollerata e per i risultati eclatanti che dà, i genitori sono comunque motivati nel continuare la terapia. E anche i bambini non hanno mai manifestato un disagio tale da doverla interrompere". Si tratta di una terapia che "non va a risolvere l'alterazione genetica, ma va a sostituire la funzione del gene mancante – specifica Pitea – L'alterazione genetica sarà un'alterazione a vita e quindi anche la terapia sarà a vita". —salutewebinfo@adnkronos.com (Web Info)


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